LE CASE RURALI DELLA VALDICHIANA
Il fenomeno dei vecchi casolari disseminati nella pianura della Valdichiana o lungo i promontori collinari è qualcosa che attira sempre l'attenzione dei visitatori. Alcune sono oggi utilizzate come abitazioni di campagna, altre sono state ristrutturate per ospitare strutture agrituristiche e non solo; altre ancora sono, invece, in stato di abbandono, e probabilmente sono quelle che più attirano e catturano l'immaginazione dei turisti.
Le case rurali non sono tutte strutturate allo stesso modo, ogni secolo ha portato il proprio contributo al modo di coltivare i campi e di vivere la campagna, tanto che non è difficile risalire all'origine dell'insediamento rurale dalla fisionomia delle strutture costruite. L'estensione della valle, sempre in crescita grazie ai risultati degli interventi di bonifica, ha reso necessario un continuo aumento dei poderi per intensificare l'impegno colturale e mantenere la salubrità del territorio.
Così le costruzioni asimmetriche a più blocchi, accostati in successione temporale, testimoniano solitamente un insediamento più remoto, mentre a partire dal XVI e XVII secolo in Valdichiana si diffonde un gusto che nulla ha a che vedere con l'architettura spontanea e di circostanza. A partire dagli edifici rurali voluti dal Granduca Cosimo I e realizzati su progetto di Bernardo Buontalenti, la misura del volume edilizio assunse la tipica fisionomia conferitagli dall'orizzontalità del corpo di fabbrica e dalla verticalità della torre della colombaia.
Le vere e proprie case della bonifica nascevano con la facciata principale esposta a sud, mentre la facciata opposta era quasi sempre realizzata senza aperture, come protezione dai venti freddi. L'impiego degli architetti per le case rurali si imporrà definitivamente solo a partire dal XVIII secolo, quando il granduca Leopoldo farà aumentare in modo consistente la quantità di fattorie e casolari nella valle, non a caso attualmente costellata di "Leopoldine".
L'intervento degli uomini ha forzato l'ambiente e determinato il modo di vivere di una comunità, che si è costituita come modello della storia della bonifica. Le "Leopoldine" grandi e solide, con il tipico ingresso o portico, con le graziose logge coperte, dominate dalla torre della colombaia, avevano tutte cucine spaziose e grandi camini e forni a legna dove ogni famiglia cuoceva settimanalmente il pane. Queste dimore rurali, a volte gigantesche, raccontano di una vita dura, fatta di sudore e lavoro ma dignitosa, soprattutto una vita tranquilla per i molti membri di quelle famiglie patriarcali, a volte composte da 30 o 40 persone che vivevano sotto lo stesso tetto. E unici erano anche i macchinari che andavano da un podere all'altro e, con loro i contadini, perché per le produzioni più impegnative, come l'uva, la vendemmia o la raccolta delle olive, la trebbiatura e così via, esisteva un sistema di scambio d'opera: si lavorava insieme in un podere, per poi passare ad un altro. Tra alcune di queste grandi famiglie, dicono i più anziani, non esistevano più a volte nemmeno i legami familiari, eppure erano legati da vincoli di rispetto e uniti da un perfetto accordo.
Foto da cortonaweb.net